Come un vulcano

Ci sono quei giorni in cui hai l’ispirazione e il pc si blocca.

Oggi è uno di quelli.

Eppure ho un solo pensiero.

Spesso, anzi di solito sempre, si augura alle persone che partono di incontrare se stesse.

Oggi non è uno di quei giorni.

Io voglio fare un augurio differente a tutte quelle persone che stanno per vivere in un altro paese.

Spero che possiate vivere in un luogo dove poter lasciare libere tutte le parti di voi stessi, si, tutte quelle parti che in fondo avete sempre saputo che esistevano. Spero che abbiate il coraggio di lasciare libera la vostra anima di gironzolare proprio lì, dove si sente a casa.

Almeno questo è successo a me ed è doloroso, proprio come quando si lascia andare un figlio per la propria strada… chiaramente non ho mai avuto un figlio, a quanto io sappia, però, mi sento così.

Più di due anni ho fatto un sogno.

C’era un vulcano che eruttava e io dovevo cercare in tutti i modi di salvare le persone che conoscevo dalla lava e dalle pietre che venivano lanciate dalla potenza di questo vulcano.

Mi sono svegliata malissimo e con dei sensi di colpa incredibili.

Raccontandolo alla mia psicoterapeuta ho capito che quel vulcano ero io. Erano tutte le parti di me che avevano bisogno di uscire dalla montagna e agire.

Però la paura più grande era che tutte questi miei aspetti potessero ferire le persone che mi stanno intorno, che gli aspetti della mia personalità potessero distruggere quello che avevo costruito in questi anni.

A distanza di anni da questo sogno ho iniziato il mio SVE in Argentina.. non fu un caso, non fu un esperimento. Ero io.

Qui il vulcano è esploso, tutte le parti più intime di me hanno iniziato ad emergere, le conoscevo e le riconoscevo… non erano estranee, alcune erano assopite, altre quasi morte o distrutte da un super io molto potente, ma sapevo che esistevano, non ero sorpresa.

Sono emerse e hanno iniziato a vivere tutte, contemporaneamente, nello stesso luogo. E l’unica persona ferita sono stata io. Non avevo la più pallida idea di come si potessero gestire, fino a che non le ho lasciate fare, facendomi odiare e facendomi amare.

Ma nessuno si è fatto male. Quell’incubo dove tutti morivano, non era reale. Tutti sono vivi, e tutte quelle parti di me hanno trovato un luogo dove coesistere in maniera produttiva, funzionale. Mi hanno permesso di essere costruttiva e creativa nel lavoro, mi hanno fatto comprendere dove potevo andare e riconoscere le mie competenze.

Ho scoperto che esisteva un posto dove potevano essere comprese, contenute e sfruttate.

Ho accettato di essere un vulcano, ho accettato la forza di quello che si spingeva dentro di me, ho accettato che agisse.

Nella mia vita mi hanno detto milioni di volte che non sapevo scrivere, cosa che adoravo, e ho appreso a smettere. Venendo qui tutto si è riacceso: la voglia di comunicare, di parlare agli altri, ma soprattutto di raccontare a me stessa quello che sentivo.

Forse per la prima volta dopo tanto tempo ho sentito: non era amore, non era un sentimento qualunque, ho sentito me stessa; mi sono sentita dalla punta dei piedi fino alle doppie punte dei capelli; ero io, con i miei sogni, le mie paure, con le mie forze, le mie debolezze; nessun sconosciuto, nulla di nuovo e clamoroso: ero io e nessuno poteva togliermi questo.

Forse è questo che fa più male, quando trovi quel posto dove puoi finalmente dire a te stessa tutto quello che avevi paura di dirti pur sapendo che un giorno, non troppo lontano, lo dovrai lasciare.

È capire che tu, fisicamente, dovrai lasciarlo per approdare in nuovi porti, mentre lui.. lui non potrà più tornare indietro, perché un vulcano quando erutta si riempie di nuove cose, ma quello che aveva dentro rimane libero, libero di fare casino dove si sente a suo agio, dove si sente a casa, di colpire altre persone e lasciargli qualcosa.

E così mi sento adesso: un vulcano che ha passato gli ultimi tre mesi a imparare a lasciare vagare le sue macerie per le vie di una città che non era la sua, ma che adesso sembra l’unico posto dove poter continuare a vivere.

Si dice che a volte “Para que una estrella nazca, hay una cosa que tiene que pasar primero: una nebulosa gaseosa debe colapsar. Así que colapsa. Desmorónate. Esta no es tu destrucción, es tu nacimiento”.

Allora lascia che tutte quelle parti di te collassino, vivano, trasformino e influenzino te stesso e le persone che ti circondano; lascia che ti rendano libero di brillare, di essere quello che sei; e finalmente nascere. Lasciale libere di danzare dove loro finalmente si sentano a suo agio, senza tenerle più solo per te, senza la paura di poter perderle, perché sono tue e sai dove ritrovarle.

Come per la prima volta dopo anni, nascono dentro di me alcune parole libere di essere scritte nero su bianco.

Allora l’augurio è di trovare quel posto non dove conoscerti, ma dove poter far esplodere quello che sei e lasciarlo libero di vivere; di marcare nero su bianco tutto quello che sei, tutto quello che senti.

 

 

 

 

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